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martedì 26 ottobre 2010

Attacco sul Don

Eravamo nella fine dell’autunno ’42 quando dal comando generale venne l’ ordine di attaccare i Russi oltre il fiume Don o quantomeno di provare la reazione nemica. Così venne deciso che con otto battelli o gommoni che avevamo in dotazione noi del Genio avremmo trasportato all’ altra riva del Don dodici soldati della fanteria e bersaglieri per attaccare i Russi. Ogni gommone era composto da quattro genieri che remavano e dodici soldati e sottufficiali con mitraglia che giunti a riva dovevano attaccare ma nel caso di retrocessione noi dovevamo attendere i fanti per portarli indietro e fare la ritirata.

Annoto: questi battelli fatti a zaino giunti a riva si dovevano gonfiare ed erano composti da 24 divisori in modo che se veniva colpito un scomparto rimaneva sempre qualche altro per facile salvezza. Così verso le ore tre del mattino ci preparammo per l’ agguato, ci imbottimmo di alcol e altro e ci incamminammo a riva, quando qualche battello già raggiungeva l’altra riva e io col mio ero prossimo, i Russi ci scoprirono e incominciarono prima coi razzi per illuminarci poi l’inferno di mortai e mitragliatrici; le nostre artiglierie, che erano allerta anche loro, cominciarono a cannoneggiare l’altra riva e ciò si protrasse per svariate ore finché vicino all’ altra riva la situazione migliorò quel tanto da poter ripiegare nelle proprie posizioni.

Io mi ritrovai con altri quattro del Genio e diversi fanti rimasti fra i quali qualche ferito non grave in balia della corrente. In quel tempo il fiume Don aveva parecchia acqua impetuosa. Si riuscì a venire a riva dalla parte nostra, a circa cinque chilometri da dove eravamo partiti tutti zuppi di acqua e con le sparatorie alle spalle. Non potevo parlare ci alleggerimmo di tutto e abbandonammo battelli zaini e gommone togliendoci cappotto e giacca per buttarli via, per alleggerirci del bagnato di dosso; rimanemmo con pochi indumenti indosso portandosi dietro le armi sennò se ci si salvava e si abbandonavano si rischiava grosso, anche la fucilazione e guardandosi dalle raffiche dei mitra si ripiegò verso le nostre linee. Quando fummo a qualche chilometro dai nostri si lanciò dei razzi segnali per far capire che eravamo noi in ripiegamento e così più morti che vivi riuscimmo a rientrare in linea nostra. Quando nel tardo pomeriggio il comando fece la conta più della metà mancavano.

Io come tanti altri che scamparono alla battaglia comandavo un battello coi remi ero molto sudato e affaticato. Mi venne a mancare la voce ed un forte shock nervoso così per qualche giorno rimasi in infermeria ma fu qui che forse mi salvai un’ altra volta la vita.