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martedì 26 ottobre 2010

Attacco sul Don

Eravamo nella fine dell’autunno ’42 quando dal comando generale venne l’ ordine di attaccare i Russi oltre il fiume Don o quantomeno di provare la reazione nemica. Così venne deciso che con otto battelli o gommoni che avevamo in dotazione noi del Genio avremmo trasportato all’ altra riva del Don dodici soldati della fanteria e bersaglieri per attaccare i Russi. Ogni gommone era composto da quattro genieri che remavano e dodici soldati e sottufficiali con mitraglia che giunti a riva dovevano attaccare ma nel caso di retrocessione noi dovevamo attendere i fanti per portarli indietro e fare la ritirata.

Annoto: questi battelli fatti a zaino giunti a riva si dovevano gonfiare ed erano composti da 24 divisori in modo che se veniva colpito un scomparto rimaneva sempre qualche altro per facile salvezza. Così verso le ore tre del mattino ci preparammo per l’ agguato, ci imbottimmo di alcol e altro e ci incamminammo a riva, quando qualche battello già raggiungeva l’altra riva e io col mio ero prossimo, i Russi ci scoprirono e incominciarono prima coi razzi per illuminarci poi l’inferno di mortai e mitragliatrici; le nostre artiglierie, che erano allerta anche loro, cominciarono a cannoneggiare l’altra riva e ciò si protrasse per svariate ore finché vicino all’ altra riva la situazione migliorò quel tanto da poter ripiegare nelle proprie posizioni.

Io mi ritrovai con altri quattro del Genio e diversi fanti rimasti fra i quali qualche ferito non grave in balia della corrente. In quel tempo il fiume Don aveva parecchia acqua impetuosa. Si riuscì a venire a riva dalla parte nostra, a circa cinque chilometri da dove eravamo partiti tutti zuppi di acqua e con le sparatorie alle spalle. Non potevo parlare ci alleggerimmo di tutto e abbandonammo battelli zaini e gommone togliendoci cappotto e giacca per buttarli via, per alleggerirci del bagnato di dosso; rimanemmo con pochi indumenti indosso portandosi dietro le armi sennò se ci si salvava e si abbandonavano si rischiava grosso, anche la fucilazione e guardandosi dalle raffiche dei mitra si ripiegò verso le nostre linee. Quando fummo a qualche chilometro dai nostri si lanciò dei razzi segnali per far capire che eravamo noi in ripiegamento e così più morti che vivi riuscimmo a rientrare in linea nostra. Quando nel tardo pomeriggio il comando fece la conta più della metà mancavano.

Io come tanti altri che scamparono alla battaglia comandavo un battello coi remi ero molto sudato e affaticato. Mi venne a mancare la voce ed un forte shock nervoso così per qualche giorno rimasi in infermeria ma fu qui che forse mi salvai un’ altra volta la vita.

lunedì 13 settembre 2010

Una piacevole pausa



Carissimi amici,
ogni tanto, nelle pause tra una revisione del diario e l'altra, ci vuole un po' di sano svago. Cosa è meglio di una bella partita a carte, passione che il nonno mi ha trasmesso fin da piccola? I nostri giochi preferiti sono briscola e scopa ma anche 151...e sì,spesso e volentieri mi straccia con le sue strategie ormai affinate nel tempo!
Detto questo, vogliamo ringraziare tutti i frequentatori del blog che sono passati, passano spesso e anche chi passerà in futuro....è grazie a voi se troviamo sempre la forza di andare avanti e investire tempo e passione in questo progetto!

Sara

mercoledì 25 agosto 2010

Malorlov

Combattemmo uniti verso Malorlov che era oltre la prima piccola collina da superare. Per sfondare ci furono dei grossi combattimenti, finalmente però avemmo via libera, andavamo avanti a tratti quando noi sopra agli autocarri quando spesso eravamo noi a spingere questi stessi a causa della neve e del fango che in quelle steppe non esistevano altre strade, ci si doveva arrangiare anche con del materiale del posto, tornelli di legno collegati col filo di ferro e metterglieli sotto le ruote fino a quando non trovavamo il terreno sano.

Si superò anche l’ostacolo del paesino di Malorlov dove trovammo tutte le casette e una scuola distrutte perciò dovendo sostare per rifocillarsi lì per più diversi giorni venne il problema di come fare per dormire e avere un po’ di conforto. Allora ci appostammo nei capannoni agricoli lì vicino a delle cataste di paglia a volte dentro gli stessi automezzi militari ma il freddo ancora era sempre pungente. Ripartimmo da Marlorov verso la fine di marzo aprendoci il fronte dopo tre giorni di combattimento e puntammo subito sul centro industriale di Voroscliovgrad, Millerovo e Kantemirovka facendo fronte unici con le truppe corazzate tedesche. Arrivavamo su questi obiettivi, bene accolti noi italiani anche dalla popolazione della Russia Bianca. Anche questi apertamente si pronunciavano contro quel regime totalitario comunista. Lì si poteva respirare anche perché essendo tre cittadine vicine una dall’ altra abbastanza grandi si poteva alloggiare in scuole, fabbriche, etc… il fronte lo avevamo a parecchi chilometri e allora noi del Genio si andava di tanto in tanto al fronte per collocare mine o per mettere dell’ esplosivo e far saltare dei boschi o canali in vista. Rimasi lì per qualche periodo forse venti giorni o un mese poi venne l’ordine di ripartire puntando su Stalingrado ma prima si trattava di arrivare al Fiume Don e fare i conti con i Russi lì appostati per contrattaccarci.

Noi del Genio, un plotone, eravamo aggregati all’ 82° Reggimento della divisione Torino, arrivammo a circa un chilometro dal famoso fiume Don in un paesino mi pare si chiamasse Seraiew che sovrastava le sponde del fiume e li si fece il fronte e il trinceramento. A questo punto per me venne la fine ma con la mano della fortuna scampai la morte. Si perché questo è un episodio fra quelli più pericolosi….

Avanzata in Russia



Durante l'avanzata in Russia, Bianco tra i compagni Enzo Billi (a sinistra) e Ferrari.

sabato 17 luglio 2010

Rikovo e Iuncon


Finchè dopo tanta sofferenza andando avanti una volta sopra ai camion una volta mettendo i graticci sotto le ruote e spingendo fuori dalla melma il proprio mezzo arrivammo alla città di Stalino, anche lì zona più che agricola industriale, nella fine novembre del 1941. Noi ignari di tutto pensavamo di trovarci vicino a delle montagne. Di fronte a noi vedevamo delle colline tipo montagnette ma sapete cosa erano? Spurghi di lignite che estraevano con i carrelli e li ammassavano come montagne. Ad ogni modo ci appartammo lì sistemati nelle case, nelle scuole, nelle fabbriche, insomma, dove si poteva. Ci impaurivamo di tutto, a circa cinque chilometri si sentivano le mitragliatrici russe che sparavano verso di noi. Difatti nel momento ci difendemmo abbastanza bene, eravamo troppo superiori a loro, poi però venne il bello, incominciò il freddo anche a 40 gradi sotto zero, le nostre scarpe con i chiodini sotto gelavano ai piedi, le nostre armi gelavano e si inceppavano e quasi ogni notte ci trovavamo il nemico sotto le finestre e dovevamo difenderci anche a bombe a mano, non dormivamo, poco e vestiti. Un inverno da bestie. Incominciarono le prime brutte avventure, i soldati di frontiera più esposti in trincea morivano oltre che dai mortai e dalle mitragliatrici russe anche di freddo, congelati. Finché venne l’ordine, con l’appoggio delle truppe corazzate tedesche, di attaccare verso il Natale 1941. In pochi giorni il fronte venne spostato di venti chilometri circa per motivi strategici. Io con Billi Enzo di Castelnuovo dei Sabbioni e un certo Martella Vincenzo di Macerata e un certo Matassini, marchigiano, fummo trasferiti a Iuncon paesino di una cinquantina di casupole tra Ricovo e Kantemirovka, tutte di terra e paglia abitate tutte da vecchi, bambini e qualche uomo poco valevole.

Prendemmo alloggio in una di queste casupole; il nostro compito era quello di requisire i civili e tenere sgombro dalla neve e dalla bufera un tratto di carreggiata che serviva alla truppa di prima linea per rifornimenti al fronte che era a circa dieci chilometri a Malorlov. Come facevo? Requisivo l’uomo più valido e il più dotato di ogni agglomerato di case e facevo mettere un foglio scritto a mano in ogni angolo e scrivevo così in lingua russa: “A tutti i civili da 12 a 75 anni uomini è assolutamente obbligatorio presentarsi presso la locale casa per lavori sgombero strade muniti di pala. Chi non si presenterà verrà ritenuto sovversivo pertanto obbligato e in secondo tempo internato nel campo di concentramento. Inoltre a tutti gli abitanti in dette località che vorranno venire volontarie verrà concesso un vitto e, chi non fosse in grado di lavorare per causa salute, si presenti ugualmente per essere sottoposto alla visita medica; qui Iuncon, comando cinquantasettesima Genio Artieri divisione Torino, Esercito Italiano.”

Si presentarono tutti indistintamente, forse tenendo conto che avrebbero ricevuto quello che assolutamente gli mancava e cioè il pane e altro e così andammo avanti vari mesi durante l’inverno 1942, tenendo sgombre le strade. Durante questa sosta e questo compito ogni tanto dovevamo andare anche di notte tempo col sergente Alberto Schiavone, specializzato nel deporre le mine tedesche sia di truppa che di autocarro. Per metterle ogni tanto qualcuno ci perdeva la vita sia per qualche errore sia perché venivamo scoperti dai russi e mitragliati. Però forse fu il momento per me meno duro almeno spesso dormivamo senza le scarpe e nei pagliericci dentro case.

Bene, essendo specializzato nel tipo di mine uomo e anticarro di tipo tedesco un giorno come altre volte passò il sergente Schiavone con un caporalmaggiore, si chiamava Baldassini era marchigiano e per ordine del comando la mattina con un freddo e una temperatura di 20 gradi sotto zero dovemmo andare in prima linea per collocare delle mine prima che facesse giorno: sono vivo anche in questo caso per miracolo, sentite perché. Mentre eravamo intenti a mettere le mine anticarro tutti e tre il sergente si rivolge a me e dice “ Bindi vai a prendere il coperchio e le mascherine delle mine, sono nel camioncino a circa duecento metri nel canalone.” Era lì perché il nemico non lo avvistasse. Mentre tornavo verso di loro ero a circa 150 metri e saltarono per aria il sergente e il caporal maggiore. Tutti e due a pezzi; forse nel mettere la sicura, il congegno di scatto, col freddo si era congelata e sbagliarono e perciò per loro arrivò la morte e doveva essere anche per me perché di solito il materiale quando si incomincia questa operazione, deve essere tutto sul posto per non essere avvistati dal nemico.

In quel caso i Russi, trattandosi di un grande boato, pensarono ad un attacco perciò cominciarono a mitragliare vicino a me e con i mortai distrussero l’automezzo col quale saltarono per aria anche le mine e l’esplosivo che era dentro. Mi salvai per puro miracolo facendo di corsa 10 chilometri tornando a Iuncon al posto di servizio. Del fatto della morte del Sergente e del graduato avvertì immediatamente il comandante del mio reparto che la sera stessa quando si fece notte inviò la croce rossa insieme a me e riportammo i resti dei morti al cimitero di Rikovo.

Sì, dico cimitero perché lì ad un crocevia avevamo fatto un raduno delle salme che potevamo in qualche modo recuperare, costruendo una croce di legno con i dati e il suo elmetto sopra.

Passai l’inverno lì a Iuncon ma verso i primi di marzo si ricominciò di nuovo a muoversi e riprendere l’avanzata.



Il cimitero di Rikovo fatto dalle truppe italiane.

Confine ucraino, estate 1941

Al confine ucraino, estate 1941. Bianco è il secondo in piedi a partire da sinistra.

Corriere di Arezzo, 15 luglio 2010

lunedì 12 luglio 2010

I Girasoli


Stasera su La7 un film bellissimo, una straziante storia d'amore che ha come sfondo le vicende della Campagna di Russia.

Giovanna (Sophia Loren) e Antonio (Marcello Mastroianni) sono due giovani che si amano: Antonio è militare durante la seconda guerra mondiale e, ottenuta la licenza dal servizio, sposa Giovanna. Al momento per Antonio di rientrare in servizio, i due architettano uno stratagemma per evitare a lui la partenza per la guerra: fingersi pazzo, assecondato nella finzione dalla giovane sposa. Ma la cosa non riesce ed Antonio viene costretto a scegliere fra la denuncia al tribunale militare di guerra per simulazione e la partenza come volontario per il fronte russo. Scelto quest'ultimo, Antonio non fa più ritorno.Alla fine della guerra Giovanna viene a sapere da un reduce del fronte russo che Antonio, durante una marcia di trasferimento sulla neve, sfinito dalla fatica è rimasto agonizzante in terra; probabilmente è morto, come numerosissimi altri commilitoni. Giovanna non si dà per vinta e, alcuni anni dopo, parte per la Russia alla sua ricerca. (fonte Wikipedia)

Inizia l'avanzata

Così rientrai alla Scuola Centrale del Genio a Civitavecchia ma ci alloggiai appena perché fui trasferito a Roma per partecipare alla sfilata in onore di Hitler, del re Vittorio Emanuele e di Mussolini. Mi aggiunsero perché io avevo una statura media di 1.70, che era l’altezza media richiesta per non fare una sfilata zoppa. Dopo la sfilata a Roma ottenni una licenza premio agricola di 25 giorni; tranquillo venni alla mia Villa ma non c’era pace, al decimo giorno vennero i Carabinieri di Ambra a casa e mi fecero il foglio di via che entro 12 ore dovetti rientrare al reparto.

A Roma fui sottoposto ad un controllo medico accurato, analisi e tanti accertamenti senza rendermi conto di cosa si trattasse finché mi comunicarono che ero assegnato alla fanteria, partenza immediata per il fronte russo in qualità di volontario. Si perché l’Italia non avendo dichiarato guerra alla Russia, i soldati doveva mandarli a combattere contro la Russia stessa ma aggregati con i tedeschi. Io dissi al superiore capitano Cassata Alberto che non volevo essere volontario e non ero nemmeno fascista, lui mi rispose “Vai dal maresciallo Checcacci e fatti dare l’equipaggiamento" e così mi consegnarono il necessario per la Russia, il nastrino tricolore all’occhiello e la croce uncinata sul petto, segno di volontario e mi prepararono per la partenza che avveniva nella prima quindicina di luglio 1941. Salimmo sul treno tradotta con tutto il materiale , camion, fotoelettrica carro officina ponte zero da gettare nei fiumi con barche da spingersi a largo e tutto il resto che il Genio aveva come dotazione attraversammo l’Austria e l’Ungheria finché nei Carpazi al confine romeno a un paesino chiamato Falticeni in nazione romena scendemmo dal treno con tutto l’equipaggiamento, camion compreso. Si perché noi della divisione Torino eravamo compresi nel corpo d’armata chiamato CSIR (Corpo di Spedizione Italiano in Russia) e viaggiavamo tutti sui mezzi propri. Così dalla località Falticeni subito iniziammo il viaggio attraverso la Romania e a causa dei lunghi spostamenti per arrivare a contatto con il fronte russo i viveri a noi arrivavano di rado e allora in quelle torbide giornate eravamo costretti a prendere galline, uova, anatre, maiali e legumi per farci da mangiare. Buone erano le galline in pentola e bollite, insieme a patate, cavolo, carote e altro, veniva una specie di minestrone senza pasta, lì non esisteva, a volte mettevano del grano eppure, vi giuro, era buono. Attraversai tutta la Romania finchè un bel giorno arrivammo in Bessarabia e via sempre avanti mangiando e dormendo come capitava,spesso sul camion nel cassone all’aperto si perché andavamo avanti talmente veloci che difficilmente avevamo il tempo di montare la tenda.

Passarono i mesi e arrivammo in principio di autunno 1941 in Ucraina. Lì ci aspettava il nemico ma erano più gli amici perché il popolo ucraino non voleva saperne del comunismo e così anche molte truppe si ribellavano al potere sovietico perciò appena i civili costatavano che eravamo italiani questi si schieravano tutti dalla nostra parte e potemmo finalmente dormire in quelle casupole fatte di sterco di mucca, paglia e terra sansinosa ma già era qualcosa. Intanto era giunto il pieno autunno 1941. Le strade diciamo che non esistevano, salvo che qualche grande arteria la quale era tutta rovinata (anche questa strada che conduceva a Stalino era l’unica e qualche tratto vicino alla cittadina aveva il selciato, le più però erano a sterro.) Venne il problema più grosso delle truppe e carri armati nemici. Avvenne questo, che i nostri comandanti non avevano previsto, l’ impantanamento dei mezzi. I camion, trovandosi a contatto con le strade a sterro e in qualche terreno nero e argilloso, giravano le ruote su se stesse e non riuscivano a muoversi; dovevamo scendere dai mezzi e spingere per andare avanti ma nemmeno così era sufficiente perché bastava una piccola salitina e non eravamo in grado di andare avanti, il nemico ai lati ci attaccava allora ci fabbricavamo da noi stessi per ogni mezzo dei graticci, si trattava di tondelli di legno fissati uno con l’ altro con della lega, al momento del bisogno li gettavamo per terra e li avevamo fatti almeno per 50 metri si poteva in qualche modo andare avanti rifacendoli man mano che si rompevano ma era una tragedia inimmaginabile perché andammo avanti poi migliaia di chilometri in queste condizioni, immaginate… i viveri non arrivavano allora anche qui eravamo costretti a fare la legge del più forte per la sopravvivenza; catturavamo delle galline anche maiali e in altri casi anche vitelli, mucche e ogni plotone di truppa faceva il rondaggio per proprio conto (in questo periodo presi la malaria, febbre per 15 giorni a 40°-41°). In questo cammino che va dalla località romena (paese di Falticeni) potrei narrare ancora mille episodi ma i più significanti era quella della mala organizzazione (mancanza di viveri e oltre che combattere fare ponti sui fiumi sia con le barche che con mezzi trovati sul posto tavolate tolte dalle case più lussuose russe, dovevamo procurarci tutto quasi da soli.

Dnepr

Arrivammo al fiume Dneper fiume larghissimo per le sue immense pianure ristagnanti nell’ autunno del 1941 avanzato e li si incominciò il vero fronte e le vere battaglie,. Noi del Genio avevamo il compito di fare un ponte composto di barche. Sai come? Su ogni barca di legno larga nove metri al centro erano degli ingranaggi di ferro a sua volta venivano innestate dei tavoloni lunghi 10 metri una volta innestate barca e tavole venivano spinte in avanti sull’acqua, avevamo due grandi cavi per l’ ancoraggio a riva, finché non raggiungeva l’ altra sponda ma purtroppo il caso del Dnepr non faceva per noi perché la sua larghezza raggiungeva circa un chilometro e dove l’ acqua era più bassa provvedemmo con pilastri in legno incrociati e tavole tolte dalle case più lussuose (ci perché i pavimenti anziché essere fatti di materiale laterizio erano di legno). Si ottenne così il passaggio delle prime truppe di fanteria, bersaglieri e artiglieria ma quando tutto andava bene incominciò il cannoneggiamento russo e qualche proiettile andò a segno così rimase metà truppa al di qua del fiume e metà al di là a confronto con le truppe sovietiche. Noi in questo caso dovevamo assolutamente ripristinare il transito e così anche sotto il cannoneggiamento lavoravamo. Nel giro di quattro giorni il fronte sul Dnepr era tutto in mano nostre perciò l’ avanzata continuò verso la cittadina di Ricov paese ucraino a pochi chilometri da Stalino.

I soldati ucraini a centinaia di migliaia si arresero perché erano contro quella guerra, in poche parole erano contro il comunismo e poi vedemmo una cosa davanti ai nostri occhi che ci fece inorridire: le truppe caucasiche e cosacche che non vollero arrendersi era tutto morte lungo l’arteria che conduceva a Stalino.Posso dire con sincerità che nel tratto di 150 chilometri non potevano essere meno di 500mila soldati distesi morti, erano stati mitragliati dai tedeschi e stritolati dai carri armati.

Le cittadine e i paesi che man mano conquistammo erano tutti in fiamme, incendiati sia dai nostri sia dai russi stessi che davano fuoco a tutto quello che pensavano a noi potesse servire, molto grano e cereali che erano ammassati nei capannoni bruciavano a migliaia di quintali come una carbonaia, noi del Genio mobilitavamo con ordinanze affisse in vari punti del paese tutti i civili dai 12 ai 75 anni per separare il grano e cereali buoni dall’incendio.



venerdì 9 luglio 2010

Con alcuni compagni


Alcuni membri della 57ma Compagnia Genio Artieri, Bianco Bindi è accovacciato,il secondo da destra.

mercoledì 7 luglio 2010

La Guerra in Russia rivive nella memoria dei suoi protagonisti_Brescia Oggi

E' stato pubblicato sul quotidiano Brescia Oggi un articolo relativo all'incredibile "incontro", dopo 70 anni, delle memorie di Bianco Bindi e Giovanni Bontempi.



http://www.maroneacolori.it/download/BresciaOggi03072010.pdf

venerdì 2 luglio 2010

Il fronte jugoslavo

Passò qualche mese e facemmo addestramento con esplosivi e per passaggi ponti aereo. Venne la fine del marzo 1941 e, aggregati alla divisione Torino Autotrasportata, anche noi del Genio fummo equipaggiati con camion, fotoelettriche e mandati al fronte jugoslavo. Attraversammo da Fiume, lungo la Costa Dalmata, il confine jugoslavo e lì a circa quindici chilometri incominciò qualche sparatoria ma cosa da poco. Sì, perché si combattevano fra loro serbi e croati e i croati erano favorevoli agli italiani, tanto è vero che quando si entrava in un paese o cittadina la folla si accalcava tutta lungo la strada e striscioni di tricolori fatti ad arco adornavano il nostro passaggio, donne, uomini, bambini si arrampicavano ovunque per vederci e applaudirci. Attraversammo la città di Spalato tutta in festa per l’ arrivo degli italiani e, via via che occupavamo, la popolazione croata ci acclamava sempre di più, finchè raggiungemmo la cittadina di Ragusa, quasi al confine con l’Albania e qui si incontrò le prime intolleranze da parte della popolazione verso noi italiani che acclamava invece le truppe tedesche che erano entrate a occupare come noi Ragusa stessa; i serbi ci fecero anche degli attentati e avevano il coraggio anche di schernirci.Capimmo subito il perché avevano bisogno di sfogo e ostinazione e in noi avevano visto il punto debole, anche perché le nostre autorità compreso i cappellani militari avevano molta umanità nei loro riguardi: da una parte questo è un dovere, dall’ altra loro ne approfittavano per farci del male.

Allora il generale di Divisione Torino dette a noi militari carta bianca, cioè si poteva anche sparare a vista qualora ci avessero aggredito e insultato. Fu un’ ordinanza efficace, dal giorno seguente ci rispettavano e ristabilimmo l’ ordine pubblico fra croati e serbi e dopo qualche giorno ci rimettemmo in marcia per puntare all’interno della Serbia sulla cittadina di Mostar e giunti lì ci rendemmo conto del perché. I serbi avevano avvelenato l’ acqua potabile che riforniva Mostar e tutta la vallata adiacente, lì da una montagna nasceva una sorgente di acqua di una quantità enorme pressappoco come l’Arno. Noi del Genio avevamo l’incarico di illuminare con le fotoelettriche tutta l’immensa cascata dell’acqua per far si che le sentinelle della fanteria controllassero che nessuno si avvicinasse. Avevamo anche il compito di ripulire e scaricare tutte le acque dei grandi tubi e depositi. Però la notte avvenivano dei combattimenti fra serbi e fanteria italiana e ci furono svariati morti anche fra di noi. Anche lì ristabilimmo l’ordine pubblico poi riconsegnammo alle truppe legali cioè ai croati la città e la sorgente e riprendemmo la via del ritorno in Italia. Voglio narravi un episodio, sempre a Mostar. In un grande edificio esisteva il tesoro di Stato, la Zecca e gli slavi quando si accorsero dell’invasione, avevano murato delle stanzette invisibili piene di lingotti di oro e d’argento da 10kg cadauno. Noi del genio eravamo in possesso del carro officina con anche i martelli pneumatici cosicché avevamo l’incarico di smantellare questi muri e tirar fuori l’ oro e l’ argento. Io non avrei mai pensato di rientrare subito in Italia e non mi venne in mente minimamente di approfittare dell’occasione; quando fu dato l’ordine di rientro mi resi conto che, tempo un paio di giorni, con i camion avrei raggiunto l’Italia e allora presi delle stoffe e dei viveri non l’ oro perché non ero più in tempo.

Quando, per rientrare a Civitavecchia con i vagoni e camion sopra al treno, mi resi conto che si sarebbe passati anche per la stazione di Bucine,a casa mia. Allora feci un grande pacco con le cose che avevo preso, (anche un cappotto da ufficiale che poi prese mio fratello Bruno) con l’indirizzo dei miei genitori di fuori ben visibile e lo gettai davanti alla stazione pregando chi lo avesse preso di farlo recapitare ai miei familiari in località La Villa di Capannole nel comune di Bucine. E così questa brava gente lo fece. Aggiungo che se io avessi preso dell’oro mi sarei arricchito e potevo farlo perché non avevamo controllo al momento dello sfondamento.

mercoledì 30 giugno 2010

Sul fronte francese,1940

Immagine che ritrae il plotone di Bianco Bindi (a sedere in seconda fila,il secondo a partire da destra con la
camicia bianca) sul fronte francese,1940.

Esercitazione sui colli romani,1939.

Bianco Bindi durante sui colli romani per le esercitazioni del Genio.

Scuola Centrale del Genio di Civitavecchia,1939

Foto ufficiale fatta a Bianco Bindi nella scuola del Genio di Civitavecchia

Civitavecchia, aprile 1939

Dalla Scuola del Genio di Civitavecchia Bianco spedì questa foto alla sua fidanzata, mia nonna Iva Cardinali.
Per questo è tagliata a forma di cuore.

La Scuola del Genio e il Fronte francese

Sono stato arruolato e chiamato alle armi con la classe 1918, in anticipo perché il Duce prevedeva la guerra e aveva bisogno di uomini. Avevo 19 anni. Fui assegnato alla Scuola Centrale del Genio di Civitavecchia il 3 aprile 1939.

Nel giugno 1939 partii a piedi per recarmi con altri militari a un campeggio nei dintorni di Roma, sui colli laziali, per imparare a montare le tende da campo e successivamente al poligono di tiro a Santa Marinella.Ottenni la qualifica di tiratore scelto e mi furono dati cinque giorni licenza premio.

Al ritorno dalla licenza raggiunsi la Compagnia Genio Artieri, nei dintorni di Civitavecchia, ove la mia squadra venne adibita a preparare mine di ogni tipo e sostai lì qualche giorno. Lì venivano anche gli ufficiali di fanteria per conoscere i nostri tipi di mine e incontrai così l’ avvocato Zampi Domenico, di Ambra (comune di Bucine) a quel tempo Maggiore di Fanteria.

Nell’estate del ’39 partimmo per una marcia a piedi con tutto l’equipaggiamento e puntammo su Narni e altri paesi ove c’era una specie di esercitazione di guerra, in pochi minuti si doveva montare e smontare la tenda; finiti queste dure marce e finti combattimenti tornai a Civitavecchia. Arrivato lì al reparto fui selezionato per un corso per conoscere i battelli di tipo giapponese per attraversare fiumi di grandi correnti di acqua. Sulla sponda veniva gonfiato, era a un posto solo e aveva diversi divisori (scompartimenti) in modo che, preso da una scheggia o altro, non veniva sgonfiato e rimanevi a galla; aveva due mestoline tipo quelle del gioco del tennis, ci si metteva dentro sdraiati bocconi e si metteva in azione il battellino per attraversare all’altra sponda. Era giunto il dicembre 1939 e venni mandato a Verona, aggregato a un reparto di fanteria davanti proprio alla tomba di Giulietta e Romeo. Del genio si era in dodici, tutte le mattine appena giorno si andava nell’ Adige che allora aveva una corrente fortissima e lì spesso il battellino stava in bilico perché bisognava saperci stare sennò si capovolgeva e in tal caso una barca più grossa ci raccoglieva; avevamo anche una muta di gomma ci facevano annaspare e imparare a nuotare. Nel dicembre 1939 e i primi del ’40 fui mandato a Vicenza al Genio Pontieri per conoscere i tipi di ponti e imparare a remare con le barche a remi.

Ripartito da Vicenza raggiunsi il mio plotone comandato dal sottotenente Agati, di Roma. Ero nei Colli Euganei di Monselice e Abano Terme per imparare a fare i ponti chiamati a secco fatti con materiali detti di circostanza; questi ponti erano passaggi per le fanterie e bersaglieri sui dirupi, burroni, dislivellima ci si esercitava anche per fare arreticolati, trincee e altro. Lì venne a trovarci Mussolini e volle conoscere i nostri lavori, il nostro equipaggiamento e conoscerci uno per uno, poi ci fece un discorsetto. Passai qualche mese lì, poi la tragedia:

Mussolini, dal balcone di Piazza Venezia a Roma, il 10 giugno 1940 parlò alla Nazione e dichiarò di mettersi contro il mondo intero. La guerra era dichiarata.

Io reagii, il mio capitano ci raggiunse con la compagnia completa, si chiamava Cassata Giuseppe, era siciliano, un vero patriota, radunò anche il mio plotone e fece un discorso proprio di guerra avvisandoci che in pochi giorni saremmo partiti per il fronte francese. Io chiesi una licenza di due giorni per venire a casa, lui disse “No,perché ci sono dei periodi che da un momento all’altro si può partire per il fronte”. Io non ci stetti, partii da Mestre insieme al mio amico Billi Enzo di Castelnuovo dei Sabbioni (AR), si salì in treno senza licenza e senza biglietto e andai a casa.

Dopo tre giorni ritornammo al reparto, sempre ad Abano Terme, giusto in tempo per partire. Per il fronte francese partimmo il giorno seguente e raggiungemmo una località oltre Diano Marina, nella costa ligure sul confine. Intanto il tenente del mio plotone aveva fatto rapporto al comandante della compagnia e anziché mettere tre giorni di assenza mise solo ventiquattro ore cosicché la punizione si ridusse al taglio dei capelli e quattro giorni per un’ora al giorno legati al palo, cosa che non feci perché essendo in zona di guerra non era ammesso.

Scesi dai camion militari, a piedi da Diano Marina, facemmo una marcia di sei giorni; arrivati al fronte francese a contatto con il nemico, la stessa Francia depose le armi e si arrese chiusa nella morsa tra italiani e tedeschi.

A quel punto per diversi giorni facemmo esercitazioni di guerra con prove pratiche di messa a terra di mine uomo e anticarro finchè alla fine del 1940 rientrammo alla caserma di Civitavecchia alla Scuola Centrale del Genio.

Bianco Bindi


Bianco Bindi, classe 1919, è nato e vive a Bucine (AR).

Presentazioni

Ciao a tutti,

sono Sara Bindi, ho 25 anni e sono toscana ma non sto scrivendo qui per parlare di me.

Mio nonno, Bianco Bindi, classe 1919, è un reduce della campagna di Russia.

Da anni tiene un diario delle sue vicissitudini sul Fronte orientale e si rammarica spesso che tanti eventi non siano stati raccontati e molte persone che hanno perso la vita siano state dimenticate, tra l’angoscia dei familiari che invano li attendevano a casa.

D'accordo con il nonno ho perciò deciso di aprire questo blog per pubblicare i suoi ricordi,sempre vividi nella memoria, che non hanno la pretesa di trasmettere una precisa interpretazione dei fatti caratterizzata da un'ideologia politica.

Sono semplicemente episodi vissuti in prima persona da un giovane che ha visto la sua vita segnata per sempre da quegli eventi, che in mezzo a tutto l’orrore e la disperazione ha avuto però la fortuna di ritornare a casa e la lucidità di poter narrare ancora oggi, a 91 anni, quei giorni,come fosse ieri.

Vi prego perciò di leggere, se volete, i post che pubblicherò. Per me costituiscono un vero tesoro che va a costituire quell’immensa ricchezza che è la memoria collettiva, tramandata dai nostri nonni e di cui anche ognuno di noi fa parte. Mi farebbe piacere ricevere i vostri commenti, considerazioni, curiosità e domande che non mancherò di girare al nonno che sarà felice di rispondervi.

Grazie a tutti, in particolare ringrazio gli amici che ci hanno dato un nuovo input per continuare ad andare avanti nella pubblicazione del diario. Non mancherò di citarvi nei prossimi post, parlando degli incredibili “incontri” e delle meravigliose scoperte che ci hanno coinvolto.

Vi lascio con il link dei video del nonno sulla Banca della Memoria. (http://www.memoro.org/it/ricerca_elenco.php?ID_U=2594)

Un caro saluto a tutti

Sara