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venerdì 2 luglio 2010

Il fronte jugoslavo

Passò qualche mese e facemmo addestramento con esplosivi e per passaggi ponti aereo. Venne la fine del marzo 1941 e, aggregati alla divisione Torino Autotrasportata, anche noi del Genio fummo equipaggiati con camion, fotoelettriche e mandati al fronte jugoslavo. Attraversammo da Fiume, lungo la Costa Dalmata, il confine jugoslavo e lì a circa quindici chilometri incominciò qualche sparatoria ma cosa da poco. Sì, perché si combattevano fra loro serbi e croati e i croati erano favorevoli agli italiani, tanto è vero che quando si entrava in un paese o cittadina la folla si accalcava tutta lungo la strada e striscioni di tricolori fatti ad arco adornavano il nostro passaggio, donne, uomini, bambini si arrampicavano ovunque per vederci e applaudirci. Attraversammo la città di Spalato tutta in festa per l’ arrivo degli italiani e, via via che occupavamo, la popolazione croata ci acclamava sempre di più, finchè raggiungemmo la cittadina di Ragusa, quasi al confine con l’Albania e qui si incontrò le prime intolleranze da parte della popolazione verso noi italiani che acclamava invece le truppe tedesche che erano entrate a occupare come noi Ragusa stessa; i serbi ci fecero anche degli attentati e avevano il coraggio anche di schernirci.Capimmo subito il perché avevano bisogno di sfogo e ostinazione e in noi avevano visto il punto debole, anche perché le nostre autorità compreso i cappellani militari avevano molta umanità nei loro riguardi: da una parte questo è un dovere, dall’ altra loro ne approfittavano per farci del male.

Allora il generale di Divisione Torino dette a noi militari carta bianca, cioè si poteva anche sparare a vista qualora ci avessero aggredito e insultato. Fu un’ ordinanza efficace, dal giorno seguente ci rispettavano e ristabilimmo l’ ordine pubblico fra croati e serbi e dopo qualche giorno ci rimettemmo in marcia per puntare all’interno della Serbia sulla cittadina di Mostar e giunti lì ci rendemmo conto del perché. I serbi avevano avvelenato l’ acqua potabile che riforniva Mostar e tutta la vallata adiacente, lì da una montagna nasceva una sorgente di acqua di una quantità enorme pressappoco come l’Arno. Noi del Genio avevamo l’incarico di illuminare con le fotoelettriche tutta l’immensa cascata dell’acqua per far si che le sentinelle della fanteria controllassero che nessuno si avvicinasse. Avevamo anche il compito di ripulire e scaricare tutte le acque dei grandi tubi e depositi. Però la notte avvenivano dei combattimenti fra serbi e fanteria italiana e ci furono svariati morti anche fra di noi. Anche lì ristabilimmo l’ordine pubblico poi riconsegnammo alle truppe legali cioè ai croati la città e la sorgente e riprendemmo la via del ritorno in Italia. Voglio narravi un episodio, sempre a Mostar. In un grande edificio esisteva il tesoro di Stato, la Zecca e gli slavi quando si accorsero dell’invasione, avevano murato delle stanzette invisibili piene di lingotti di oro e d’argento da 10kg cadauno. Noi del genio eravamo in possesso del carro officina con anche i martelli pneumatici cosicché avevamo l’incarico di smantellare questi muri e tirar fuori l’ oro e l’ argento. Io non avrei mai pensato di rientrare subito in Italia e non mi venne in mente minimamente di approfittare dell’occasione; quando fu dato l’ordine di rientro mi resi conto che, tempo un paio di giorni, con i camion avrei raggiunto l’Italia e allora presi delle stoffe e dei viveri non l’ oro perché non ero più in tempo.

Quando, per rientrare a Civitavecchia con i vagoni e camion sopra al treno, mi resi conto che si sarebbe passati anche per la stazione di Bucine,a casa mia. Allora feci un grande pacco con le cose che avevo preso, (anche un cappotto da ufficiale che poi prese mio fratello Bruno) con l’indirizzo dei miei genitori di fuori ben visibile e lo gettai davanti alla stazione pregando chi lo avesse preso di farlo recapitare ai miei familiari in località La Villa di Capannole nel comune di Bucine. E così questa brava gente lo fece. Aggiungo che se io avessi preso dell’oro mi sarei arricchito e potevo farlo perché non avevamo controllo al momento dello sfondamento.

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