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sabato 17 luglio 2010

Rikovo e Iuncon


Finchè dopo tanta sofferenza andando avanti una volta sopra ai camion una volta mettendo i graticci sotto le ruote e spingendo fuori dalla melma il proprio mezzo arrivammo alla città di Stalino, anche lì zona più che agricola industriale, nella fine novembre del 1941. Noi ignari di tutto pensavamo di trovarci vicino a delle montagne. Di fronte a noi vedevamo delle colline tipo montagnette ma sapete cosa erano? Spurghi di lignite che estraevano con i carrelli e li ammassavano come montagne. Ad ogni modo ci appartammo lì sistemati nelle case, nelle scuole, nelle fabbriche, insomma, dove si poteva. Ci impaurivamo di tutto, a circa cinque chilometri si sentivano le mitragliatrici russe che sparavano verso di noi. Difatti nel momento ci difendemmo abbastanza bene, eravamo troppo superiori a loro, poi però venne il bello, incominciò il freddo anche a 40 gradi sotto zero, le nostre scarpe con i chiodini sotto gelavano ai piedi, le nostre armi gelavano e si inceppavano e quasi ogni notte ci trovavamo il nemico sotto le finestre e dovevamo difenderci anche a bombe a mano, non dormivamo, poco e vestiti. Un inverno da bestie. Incominciarono le prime brutte avventure, i soldati di frontiera più esposti in trincea morivano oltre che dai mortai e dalle mitragliatrici russe anche di freddo, congelati. Finché venne l’ordine, con l’appoggio delle truppe corazzate tedesche, di attaccare verso il Natale 1941. In pochi giorni il fronte venne spostato di venti chilometri circa per motivi strategici. Io con Billi Enzo di Castelnuovo dei Sabbioni e un certo Martella Vincenzo di Macerata e un certo Matassini, marchigiano, fummo trasferiti a Iuncon paesino di una cinquantina di casupole tra Ricovo e Kantemirovka, tutte di terra e paglia abitate tutte da vecchi, bambini e qualche uomo poco valevole.

Prendemmo alloggio in una di queste casupole; il nostro compito era quello di requisire i civili e tenere sgombro dalla neve e dalla bufera un tratto di carreggiata che serviva alla truppa di prima linea per rifornimenti al fronte che era a circa dieci chilometri a Malorlov. Come facevo? Requisivo l’uomo più valido e il più dotato di ogni agglomerato di case e facevo mettere un foglio scritto a mano in ogni angolo e scrivevo così in lingua russa: “A tutti i civili da 12 a 75 anni uomini è assolutamente obbligatorio presentarsi presso la locale casa per lavori sgombero strade muniti di pala. Chi non si presenterà verrà ritenuto sovversivo pertanto obbligato e in secondo tempo internato nel campo di concentramento. Inoltre a tutti gli abitanti in dette località che vorranno venire volontarie verrà concesso un vitto e, chi non fosse in grado di lavorare per causa salute, si presenti ugualmente per essere sottoposto alla visita medica; qui Iuncon, comando cinquantasettesima Genio Artieri divisione Torino, Esercito Italiano.”

Si presentarono tutti indistintamente, forse tenendo conto che avrebbero ricevuto quello che assolutamente gli mancava e cioè il pane e altro e così andammo avanti vari mesi durante l’inverno 1942, tenendo sgombre le strade. Durante questa sosta e questo compito ogni tanto dovevamo andare anche di notte tempo col sergente Alberto Schiavone, specializzato nel deporre le mine tedesche sia di truppa che di autocarro. Per metterle ogni tanto qualcuno ci perdeva la vita sia per qualche errore sia perché venivamo scoperti dai russi e mitragliati. Però forse fu il momento per me meno duro almeno spesso dormivamo senza le scarpe e nei pagliericci dentro case.

Bene, essendo specializzato nel tipo di mine uomo e anticarro di tipo tedesco un giorno come altre volte passò il sergente Schiavone con un caporalmaggiore, si chiamava Baldassini era marchigiano e per ordine del comando la mattina con un freddo e una temperatura di 20 gradi sotto zero dovemmo andare in prima linea per collocare delle mine prima che facesse giorno: sono vivo anche in questo caso per miracolo, sentite perché. Mentre eravamo intenti a mettere le mine anticarro tutti e tre il sergente si rivolge a me e dice “ Bindi vai a prendere il coperchio e le mascherine delle mine, sono nel camioncino a circa duecento metri nel canalone.” Era lì perché il nemico non lo avvistasse. Mentre tornavo verso di loro ero a circa 150 metri e saltarono per aria il sergente e il caporal maggiore. Tutti e due a pezzi; forse nel mettere la sicura, il congegno di scatto, col freddo si era congelata e sbagliarono e perciò per loro arrivò la morte e doveva essere anche per me perché di solito il materiale quando si incomincia questa operazione, deve essere tutto sul posto per non essere avvistati dal nemico.

In quel caso i Russi, trattandosi di un grande boato, pensarono ad un attacco perciò cominciarono a mitragliare vicino a me e con i mortai distrussero l’automezzo col quale saltarono per aria anche le mine e l’esplosivo che era dentro. Mi salvai per puro miracolo facendo di corsa 10 chilometri tornando a Iuncon al posto di servizio. Del fatto della morte del Sergente e del graduato avvertì immediatamente il comandante del mio reparto che la sera stessa quando si fece notte inviò la croce rossa insieme a me e riportammo i resti dei morti al cimitero di Rikovo.

Sì, dico cimitero perché lì ad un crocevia avevamo fatto un raduno delle salme che potevamo in qualche modo recuperare, costruendo una croce di legno con i dati e il suo elmetto sopra.

Passai l’inverno lì a Iuncon ma verso i primi di marzo si ricominciò di nuovo a muoversi e riprendere l’avanzata.



Il cimitero di Rikovo fatto dalle truppe italiane.

2 commenti:

  1. Sara e nonno Bianco posano un altro buon mattone sul muro della memoria.
    Troppo bello e forte.
    Vi raccomando! Prendetevi il tempo di continuare serenamente senza farvi ossessionare dalla produzione di contributi in rapida successione.

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  2. Forse Bianco Bindi conobbe Don Silvio Marchetti? Era un tenente cappellano fucilato dai russi a Kantemirovka il 20.12.1942 ?
    Faceva parte della "Tridentina/Torino".

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